Coefficiente di fragilità
   
 

Uno scherzo barocco

di Raimondo guarino

Coefficiente di fragilità, lo spettacolo che ho incontrato nel dicembre del 1995 al Link di Bologna, nasce dalla convinzione che il teatro si fondi in una modalità del guardare, e ne percorra i paradigmi, ne sovverta e ne sbilanci le convenzioni. La vera composizione dello spettacolo è la disposizione degli spazi. La scelta del teatro sembra essere, per questi ambienti che racchiudono corpi artefatti ed esibiti, e che racchiudono in termini di evidenza un volume e un impiego di tempo enormemente superiore al contatto con lo sguardo esterno, la ricerca della violazione e dilatazione del tempo espositivo. Si dimentica facilmente che il teatro è un appello a essere guardati. II lavoro di Masque Teatro è la forma letteralmente macchinosa di come il lavoro teatrale oggi dà a vedere la sua trascendenza rispetto al campo dello spettacolo ma nello stesso tempo manifesta la sua necessaria richiesta di attenzione. Elaborando una critica della ragione teatrale. In Coefficiente di fragilità ci sono un'energia e un calcolo che si ma­terializzano come monumento alla premeditazione, al tempo di una creazione anteriore al rappresentare. C'è anche esplicitamente una sfida al tempo espositivo in cui sembra coagularsi la coazione a ri­petere di attori e macchine. Qual è la durata di questo spettacolo? Quale avventura si vive attraversandone gli ambienti? La favola rac­conta di noi, spettatori, attorì dello sguardo. Bisogna parlarne in ter­mini cerebrali e concreti, perché questi termini si congiungono nell'ispirazione operativa di Masque Teatro. L'esperienza che viviamo, le stazioni del nostro movimento, questo austero montaggio di attrazioni pensose, risultano da un processo di deduzione. Situazioni e forme della visione sono proiettate su una sequenza necessaria a svelare la relatività e la contingenza dello sguardo esterno. Lo sguar­do non può cercare la sua durata che nell'accadimento progressivo di spazi contrastanti, comparabili o incongrui, e nel tempo in cui lo spettatore viene ripetutamente invitato e sottratto al consumo della percezione. II corpo non è uno strumento ma la possibilità dell'azio­ne e del fatto, il dove e il quando di ciò che sta accadendo. Oltre i corpi che si vedono segnati e percorsi da un'im­magine che supera le cose, in un visibile che si frantuma per cercare, vanamente, di non rappre­sentare, ritroviamo la collocazione fisica, la condizione del nostro vedere. In queste stanze, in que­sto incerto percorso che si richiude su se stesso, ciò che percepiamo alla fine è il nostro corpo alternativamente immobile e deambulante e perfetta­mente estraneo, il fare che si è sovrapposto alle stazioni, ai meccanismi, ai corpi esibiti, la contraddizione fra la volontà di vedere e I'impossibile restare.

Ridotti alla solitudine, nelle cabine dei testimoni o nelle svolte di una passeggiata filosofica, ciò che osserviamo davanti a noi non ci ri­manda che alla postazione degli altri testimoni oculisti. E in questa condizione, come nella più ortodossa delle narrazioni mitiche, si de­termina il rovesciamento. Questo spazio che credevamo offerto al­la nostra visione ci mostra il degenerare della nostra sovranità di oc­chi esterni, la nostra parentela con il voyeurismo, I'idea che il nostro corpo è impastato con il visibile e noi stessi siamo I'oggetto dello sguardo. E in quanto tali siamo soli eppure ripetibili e pertanto annientati. La sensazione reale, e il principio ispiratore della disposizio­ne degli spazi, è la contemplazione del nostro guardare.

Coefficiente di fragilità è uno spettacolo barocco, concettuale e pa­radossale come gli scherzi teatrali di Gian Lorenzo Bernini. Rivissuti attraverso I'erotologia e la topologia di Duchamp. Diversamente dai catafalchi barocchi, questo apparato non si dissolve. II suo tempo non è I'effimero ma la finzione di una continuità meccanica e bef­farda che supera le posizioni dello sguardo perché tutte le contem­pla, come un panottico rovesciato, un vedere senza occhi. Alla fine del tempo e delle visioni e della vista (ma è anche, o è soltanto la fi­ne di uno spettacolo?) non hanno avuto luogo che luoghi trionfal­mente incongrui eppure concatenati. C'è stata una fatica di pensie­ri continuamente ricondotta a una stupita evidenza. Niente si è realizzato, se non la frustrata libertà del cercare.

 
   
       
         
 
Meccanica del desiderio
La sposa messa a nudo dai suoi scapoli, anche
testo del Giullare della Gravità

In alto stanno l’energia e la decisione, in basso, la passività nella sua forma più irrisoria: l’illusione del movimento, l’autoinganno!!! La metà superiore del grande vetro è il regno della sposa. All’estrema sinistra, la sposa in persona, o più esattamente in una delle sue personificazioni: la sposa è un meccanismo, e la sua umanità non risiede nelle sue forme, né nella sua fisionomia, la sua umanità è simbolica!!! La sposa propriamente detta è appesa ad un gancio; la sagoma è identificata come una figura femminile, acconciata con un cappello ed un velo. Sotto la testa la mortasa sostiene un’asta o fusto metallico collegato al magnete di desiderio. Il magnete di desiderio contiene in una gabbia la materia di filamenti. Una secrezione della sposa al momento della sua fioritura. L’asta del magnete di desiderio è un’asse, e da ciò deriva che il suo altro nome sia albero tipo o motore a cilindri deboli, collegato ad una specie di siringa o pungiglione: è la vespa.

Le proprietà della vespa sono singolari: secerne la benzina dell’amore per osmosi e possiede un olfatto che permette di percepire le onde di squilibrio del giullare della gravità. Questa benzina erotica o potenza timida, distribuita dal motore a cilindri deboli, a contatto con le scintille della sua vita costante, esplode e fa fiorire la vergine arrivata al termine del suo desiderio.

Nella zona inferiore oscilla l’ago giunto; è montato su una cinghia di vagabondaggio, ha la libertà degli animali ingabbiati e la forma di un pendolo piuttosto minaccioso che oscilla sul vuoto: l’orizzonte, vestito della sposa.

La via lattea color carne è l’emanazione della sposa al momento della sua fioritura cinematica: la sposa si apre, fiorisce, si dilata di piacere! La via lattea color carne avvolge in modo disegualmente denso i tre pistoni, la loro funzione consiste nel trasmettere agli scapoli e al giullare della gravità le scariche della sposa, le sue sensazioni, i suoi ordini. All’estrema destra, sulla linea dell’orizzonte, un altro personaggio non dipinto: il giullare della gravità. La sua forma, se fosse giunto ad averne una, sarebbe stata quella di una molla a spirale, posata su un tavolino a tre gambe, sul quale avrebbe dovuto ruotare una biglia nera: il giullare della gravità danza sulla linea dell’orizzonte.

La metà inferiore del grande vetro è il mondo degli scapoli. Nove stampi maschi, o cimitero di livree ed uniformi o matrice di Eros. Sono vestiti vuoti, pezzi vuoti gonfiati dal gas di illuminazione. La zona degli scapoli è quella della misura e della causalità, quella della vostra geometria a due o tre dimensioni, e pertanto dalle forme imperfette. Torniamo agli scapoli: corazziere, poliziotto, lacchè, garzone, prete, fattorino di grandi magazzini, gendarme, becchino, capostazione. Gli scapoli sono collegati al setaccio da un sistema di vasi capillari che non sono altro che le unità metriche di lunghezza capricciosa. Dai vasi capillari, il gas viene congelato e ridotto in pagliuzze, per essere poi trasformato in nebbiolina…semisolida.

Gli spruzzi, invisibili, prodotti dalla caduta della sospensione liquida, sono convogliati in un peso mobile con nove buchi, verso i testimoni oculisti. Tra i nove stampi maschi e il setaccio, si trova il carrello o slitta. Si presenta con un vestito d’emancipazione e nasconde nel suo seno il paesaggio del mulino ad acqua, mosso da una cascata, invisibile.Grazie ad un ingegnoso meccanismo che comprende la caduta di una bottiglia di Benedettine, i pattini del carrello, scivolano su di una rotaia sotterranea: la sua densità oscillante, esprime la libertà d’indifferenza, unica libertà cui possiamo aspirare, in questo mondo di relazioni orizzontali. Il carrello è animato da un movimento di va e vieni; va, un peso cade e lo fa andare, vieni per attrito dei pattini. All’andata e al ritorno il carrello recita interminabili litanie: vita lenta, circolo vizioso, onanismo. Queste litanie sono il tema della vita celibe del mondo  in basso; i nove scapoli le odono e vogliono uscire da sé stessi, liberarsi delle loro maschere, ma non possono. Il continuo movimento dei rulli della macinatrice di cioccolato si spiega con l’azione di un principio di spontaneità che si condensa in questa formula: lo scapolo macina da solo il suo cioccolato. Cioccolato che viene da non si sa dove, e che dopo la macinatura si deposita in cioccolato al latte. Le forbici si aprono e si chiudono grazie al va e vieni del carrello, le cui salmodie ritmano il movimento e controllano l’impeto degli spruzzi. Il riverbero delle gocce passa attraverso le vesti della sposa ed è riflesso verso il suo regno, per formare il quadro di ombre proiettate. Il percorso dello scapolo ha termine nei testimoni oculisti, dove le contraddizioni della sua psiche saranno risolte, dopo essere state accentuate. Da qui il gas è testimone della messa a nudo della sposa, e raggiunge, eventualmente il suo regno, anche se soltanto sotto forma di immagine riflessa.

Est-qui libre?   Equilibre!!!

 
   
       
         
         
 

“ A quell’epoca avevo cercato di leggere di questo Pawlowski qualcosa che spiegava le misure, le linee rette, le curve, ecc.  Tutto questo lavorava nella mia testa, quando lavoravo, benchè nel Grande Vetro io non abbia quasi mai usato dei calcoli. Ho semplicemente pensato all’idea di una proiezione, di una quarta dimensione invisibile poiché non si può vederla con gli occhi. Siccome trovavo che si poteva riportare l’ombra prodotta da una cosa a tre dimensioni, un oggetto qualsiasi - come la proiezione del sole sulla terra produce due dimensioni - per analogia puramente intellettuale pensavo che la quarta dimensione potesse proiettare un oggetto a tre dimensioni, in altre parole, che ogni oggetto a tre dimensioni che noi vediamo senza stupirci, sia la proiezione di una cosa a quattro dimensioni che noi non conosciamo. Era un poco un sofisma, ma dopo tutto era possibile….”                              

Marcel Duchamp

 
 
         
         
 
Nell’ipotesi che la dimensione erotica sia quella più vicina ad una dimensione ”altra” che non trova spazio nella nostra geometria,  Duchamp pone la Sposa o Impiccato Femmina come forza propulsiva della Meccanica del Desiderio. Il meccanismo erotico è rappresentato nel Grande Vetro dall’universo superiore della Sposa e dall’Apparato Celibe posto nella zona inferiore; i due mondi separati fisicamente dalla Linea dell’Orizzonte, non si incontrano mai. La Sposa, attraverso un complesso meccanismo produttore di benzina d’amore, invia scariche elettriche, messaggi geroglifici ai suoi celibi, risvegliando in loro il desiderio erotico: il meccanismo che la sposa mette in moto è totalmente immaginario e la sposa è dunque destinata a rimanere vergine. Il desiderio, come forza motrice della macchina, è una possibilità, una delle possibilità nel campo delle idee, una porta che apre nuove possibilità di pensiero.
 
         
         
 

Due idee, che Jean Clear individua come fondamentali nel procedimento di Marcel Duchamp, guidano e sviluppano il percorso di Coefficiente di Fragilità:

- modificare il punto di vista dell’osservatore, rispetto a ciò che questi osserva

- sostituire un’assiomatica del possibile a un’assiomatica del reale.

 
         
 

Il termine “percorso” va inteso anche in senso fisico. Coefficiente di Fragilità è concepito infatti nella sua struttura come un percorso che l’osservatore compie per raggiungere le stanze della visione. L’osservatore (testimone oculare) si trasforma in Testimone Oculista: la sua testimonianza fa parte della rappresentazione. Il testimone Oculista è un voyeur che vede, attraverso l’ostacolo, il vetro, la fessura e contemporaneamente il suo sguardo è incluso nella visione di ciò che accade. Si tratta di uno sguardo circolare: guardarsi-guardare.  Il percorso che lo spettatore compie è di isolamento fisico:  l’alterità non è data da una presenza tangibile e lo sguardo dell’Altro disattende la certezza. Colui che entra nella sala della Porta Spagnola coglie di sorpresa il voyeur nell’atto di guardare attraverso le fessure la ragazza nuda. Così pure, al termine del percorso, lo spettatore, solo, ritrova gli altri che mentre stanno guardando ciò che accade, lo guardano attraversare lo spazio scenico. Il luogo fisico di Coefficiente di Fragilità è uno spazio anamorfizzato: ogni stanza è l’immagine deformata dell’altra: cambiano le forme, non le essenze.

I cinque attori agiscono individualmente, secondo una logica che esclude l’altro: essi sono costretti in perimetri di spazio.

Anche quando si trovano fisicamente nella stessa stanza, restano inscritti in un preciso luogo di azione: sono racchiusi in una cornice ed esistono solo all’interno di quel luogo definito. Questa separazione, impedendo relazioni intellegibili tra le figure, mette al riparo da un “regime di tipo narrativo” e consente allo spettatore di essere creatore di relazioni.

 
 
   
       
         
 

 Le figure, pur essendo isolate, partecipano dello stesso senso, e il compito dello spettatore è quello di scoprire le prospettive che rendono visibile l’anamorfosi. Lo stato di isolamento in cui è collocato l’attore è attribuibile, se pur in forma diversa, anche allo spettatore. I testimoni oculisti, infatti, pur accedendo inizialmente in gruppo, sono successivamente invitati a compiere il percorso da soli. La scansione temporale e la collocazione spaziale creano l’isolamento, in modo che ogni testimone oculista sia solo ma con gli altri. L’alterità è ancora una volta percepita attraverso il punto di vista. I testimoni oculisti vivono un rapporto principalmente individuale con l’azione e con l’attore. Così come ogni spettatore è separato dal proprio Altro, ogni attore è separato dal proprio Altro. Il rapporto tra spettatore e attore si può leggere 1:1

Anche in questo caso non si tratta di relazione diretta, piuttosto di una relazione separata: dal vetro, dall’ostacolo, dalla fessura. L’imbattersi Fortuito, dalla distanza iperravvicinata, è l’unico momento in cui l’attore e lo spettatore non sono fisicamente separati; il loro contatto è accidentale, un imbattersi fortuito, appunto.

“E che dire di una porta montata su cardini tra due vani posti ad angolo retto l’uno rispetto all’altro: è aperta o chiusa? E delle due opposte superfici di cui la porta è costituita, quale sarà quella interna e quella esterna?” (Marcel Duchamp)

 
       
 
Il Re e la Regina attraversati da nudi veloci
Lorenzo Bazzocchi
Chiara Bocchini
Alessandro Zanchini
Vanni Bendi
 
 
Imbattersi fortuito e Porta Spagnola
Sabrina Gurioli
Lorenzo Bazzocchi
Cinzia Laganà
 
Grande Vetro: giullare della gravità
Catia Gatelli
la Parola
dal Discorso di Aristofane sull’Eros
da “Il castello della purezza” di Octavio Paz
Meccanica dell’impulso
Giovanni Versari
 
   
Ideazione e regia: Lorenzo Bazzocchi  
     

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